Da buona osservatrice (fare la giornalista è un passatempo ma quel viziaccio d curiosare non l'ho mai perso), propongo un piccolo excursus di natura semiotica sulla stampa umbra. Esemplare quanto basta per capire il modo di lavorare di certe testate (direttore scusi dov'era e se c'era cosa stava facendo?) e di certa gente (ma per dirsi giornalista bisogna saper scrivere, saper trovare le notizie o entrambe le cose?) e di quale giovamento trarre da questo exemplum.
Oggetto: In un palazzetto del Trasimeno un minorenne è riuscito a filmare con il proprio telefono cellulare alcuni attimi del dopo partita di un torneo di pallavolo femminile..mentre le proprie beniamine stavano facendo la doccia.
La notizia è apparsa mercoledi 24 ottobre su Il Giornale dell'Umbria, nel quale
Analisi del caso: secondo il dizionario di italiano Devoto - Oli lo scoop è "la pubblicazione in esclusiva di una notizia
Nell'analisi semiotica degli articoli giornalistici si parte dal titolo per valutare, rispetto ad un fatto unico e circoscritto, quali aspetti sono enfatizzati nel testo. A parte che spesso tra i due elementi testuali - titolo e corpo - non c'è una esatta pertinenza, in questo caso il Giornale ha puntato sull'aspetto pragmatico del gesto compiuto dal minorenne - la ragazzata che però ha conseguenze lesive sulla sfera privata altrui e passibile di denuncia ; la Nazione ha enfatizzato l'aspetto comunicazionale (definizione del prof. Rosetti) dell'evento, riportando la reazione dei soggetti danneggiati che si sono recati dai carabinieri per la denuncia.
Il Corriere? Ha semplicemente sintetizzato le fonti reperite dalle due testate Giornale e Nazione per fonderle in una bufala. Sostenendo che il video era stato girato a ottobre scorso - quando invece risulta per certo registrato a settembre e le modalità di realizzazione lo confermano - e supportando come novità rispetto alle uscite degli altri giornali che c'era un video in internet. Si, sui jeans di una tifosa seduta tra le gradinate.
Conclusioni: Al di là della partigeneria di cui potrò essere accusata (spudoratamente) in quanto informata dei fatti e collaboratrice de Il Giornale, credo che per fare i giornalisti sia necessario ma non sufficiente saper mettere in fila due o tre parole, evitando certamente gli anacoluti alla Baccarelli. Perché il vero giornalista le notizie se le va a cercare, possibilmente senza inventarle e copiarle. Poi si sa, la verità è mobile come le donne.
Soprattutto, il buon giornalista accetta le buche degli altri con discrezione e positività, senza dover forzatamente partorire bufaline per recuperare. Ma tutto questo, forse, per alcuni è marginale, l'importante è insegnare ai propri studenti e collaboratori che si può fare il mestiere ricopiando il lavoro degli altri, spendendo la metà del tempo e delle energie dei pubblicisti più coglioni.
Ma una volta i coglioni non erano quelli che votavano a sinistra?