domenica 18 novembre 2007

FIGLI DI UNA LAUREA MINORE

Post aperto a Enrico Mentana.
Caro Direttore,
da qualche tempo avevo in mente di scriverle queste righe, in riferimento a non ricordo più quale puntata di Matrix, tra le cui poltrone vedeva anche Augusto de Megni.
Ebbene, in chiusura, lei ha chiesto al vincitore della passata (forse, non l'ho mai vista) edizione del Grande Fratello quale facoltà universitaria frequentasse. "Scienze della Comunicazione" le ha risposto il baldo ed educato perugino. "Un altro disoccupato in giro" ha replicato lei con il sorriso. E via la sigla finale della trasmissione.
Lei sa quanti studenti di Scienze della Comunicazione ha sfornato l'Italia? E Perugia? E lo sa che grazie a Facoltà come questa gli atenei si rimpinguano le tasche e le case delle città che aprono le porte ai futuri comunicatori registrano un'impennata negli affitti delle case da capogiro?
Sa, signor Mentana, io mi sono laureata in Scienze della Comunicazione nel marzo 2005: indirizzo istituzionale e d'impresa con una tesi in semiotica da 6 punti (il massimo che concedevano in rari casi a noi figli di una laurea minore) , dopo aver perso tre mesi dietro ad un professore di antropologia culturale che voleva farmi lavorare sulla negritude nella Francia anni '70.
Fuori corso di un anno, ho lavorato di giorno e studiato di notte, e nelle ore notturne ho partorito anche la tesi finale. A grandi salti, perché se facevo le quattro di mattina all'indomani dovevo essere in piedi al massimo alle 7 e mezza.
Alle giornate di presentazione dei master in comunicazione e marketing aziendale (del settore moda) ho incontrato in media solo quattro studenti di Scienze della Comunicazione e uno di Economia, per il resto decine di Giurisprudenza e Lettere Moderne. Che a fronte di 17 mila euro di spesa i presentavano con senza alcun bagaglio di organizzazione aziendale e marketing.
Passi per Lettere, la facoltà dei futuri disoccupati è nata per gemminazione proprio da Lettere e questa branca universitaria continua aproteggerla sotto le sue penne. Ma non trova singolare che uno studioso in Legge voglia fare all'improvviso il comunicatore?

Prima del boom della comunicazione e informatizzazione a tutti i costi - quando il mestiere era ancora molto legato all'aspetto della manualità - non si diceva lo stesso degli iscritti a Scienze Politiche e Filosofia? I primi - ho sentito dire addirittura a momento della mia iscrizione nel 1999 - erano quelli "che non avevano voglia di fare niente e che pertanto sceglievano questo percorso ". Ma tant'è che la facoltà è stata da sempre la culla formativa di politicanti e giornalisti. Forse dava poche attitudini pratiche ma offriva un campo conoscitivo molto ampio per certe professioni. I filosofi invece erano candidati alla carriera dell'insegnamento, a meno che non fossero migrati nel mondo dei master post laurea con un bagaglio estremamente teorico da minimizzare..
Poi, nell'era della comunicazione pervasiva, anche gli antropologi e i filosofi sono stati definiti "figure importanti" all'interno di una azienda, per il loro potenziale contributo conoscitivo sul piano delle relazioni intra aziendali.
Insomma,dove vogliamo metterli tutti questi studenti di Scienze della Comunicazione?
Nel campo del giornalismo? Le confesso che non sono figlia di giornalisti, né nella mia famiglia vi sono personalità influenti a cui posso affidarmi per trovare un lavoro in questo settore o tali da farmi entrare in qualche scuola per "imparare a fare il giornalista". Suo padre che lavoro svolgeva, se non sono troppo indiscreta? Mica avrà vissuto anche lei un periodo di prigionia da bambino?
Forse l'unica speranza di trovare un lavoro meno precario di quello che si prospetta per tutti gli studenti di Scienze della Comunicazione, l'unica che si desume dal suo intervento inopportuno, è partecipare alle selezioni del Grande Fratello insieme agli altri 4000 ragazzi che ambiscono a diventare come Augusto De Megni. Un'ospite nella sua trasmissione che non sarà mai disoccupato, che non dovrà spendere sei mesi di stipendio per comprarsi una telecamera professionale per lavorare. E cercare di dare un senso ad una laurea che serve solo a riempire le università di illusi. Intendeva dire questo, sbaglio?
Però, caro Mentana, è giusto che sia così. Che l'accesso all'università sia libero per garantire la libertà di studio a tutti, anche a quelli che non hanno papà importanti o accoliti più efficaci delle agenzie interinali. Insomma, perché tutti possano avere l'opporunità di intraprendere la professione per cui si pensa di essere portati: un principio molto vicino alla logica dantesca e talmente democratico da essere visibilmente una presa per i fondelli a tutti quelli che ci credono.
La vita dei figli d'arte è molto complessa, mi rendo conto. ma si è mai chiesto se con un altro cognome si fosse trovato a condurre Matrix in un'emittente locale a vita?
Lasciamo stare, signor Mentana, Chiara Geronzi certe gaffe le ha evitate (si rilegga l'intervista su Vanity Fair di un anno fa). La perdono solo perché era in diretta.