PERUGIA - E pensare che in quei primi due anni da universitaria fuori sede sono passata così tante volte per i giardini, per strade e vicoli illuminati dal bagliore della luna, in compagnia del mio solo respiro. Tenevo il cellulare stretto nella mano destra, pronta a pigiare con forza il tasto numero 5 (lchiamata di pronto intervento 112) se qualcuno si fosse messo sul mio stesso cammino con cattive intenzioni. Ma il desiderio di lasciarmi alle spalle la solitudine e una stanza piena di sogni era tanto, molto più forte della paura di un'aggressione notturna. Era la Perugia prima del millennium bug.
A distanza di sette anni, nelle prime ore di un venerdi qualunque una studentessa inglese di ventidue anni, Meredith Kercher, viene trovata morta nella propria stanza dalle coinquiline, un appartamento a 200 metri dal centro cittadino. Era nascosta sotto il materasso, il piedino bianco che usciva da quel cumulo di stoffa e uno squarcio alla gola che le ha tolto la vita barbaramente, imponendole il silenzio per l'eternità. E senza alcuna possibilità di riscattare la propria dignità umana infangata dalla brutturia e dalla crudeltà.
A distanza di due giorni da questo evento che - ancor più di tragico - ha dell'assurdo, spunta un cartello sulla porta dell'ateneo dove studiava la vittima. "Affittasi camera, preferibilmente a ragazze inglesi".
Al di là dell'intenzione specifica del gesto e di chi ha affisso il manifesto, c'è solo vergogna. E amarezza.