venerdì 20 luglio 2007

SAGRA DEL FAGIOLO IN UMIDO, SALMONELLOSI E PORCHETTA. I TRE DELL'APOCALISSE?

CASTIGLIONE DEL LAGO - Fegato fegato, fegato spappolato.. cantava Vasco in tempi insospettabili per sagre e sagrine. Quindici anni fa c'è stato il boom, almeno da queste parti, e ogni paese faceva a gara ad avere il massimo dei giorni disponibili, un tour de force pantagruelico per due, tre settimane di feste all'aperto, tra stand, panche scomode e gocce di sudore che - fatemelo dire - grondavano da ogni dove del corpo senza sapere dove finissero. Tant'è che nessuno se l'è mai chiesto, fino al momento in cui hanno fatto indossare ai cuochi nelle cucine cappellini e grembiuli e imposto l'uso della maglietta.
D'accordo che la sagra è un momento conviviale - che bella questa espressione - e dall'anima casereccia, ma a casa mia non è mai successo che mangiassero oltre trecento persone tutte nella stessa serata. La domanda che mi sono sempre posta davanti alla cassa della sagra di turno è: "ma le mani se le saranno lavate prima di mettermi la roba nel piatto?" Perchè con l'idea che la sagra è un ambiente dal sapore casalingo, del "semo tutti amici, volemose bene finchè se magna 'nsieme", non vorrei che a qualcuno venisse meno il principio della pulizia mentre si cucina o si somministra il pasto. E questo principio non vuole insinuare dubbi sulle condizioni igienico- sanitarie della cucina della sagra tout court, ma sulla buona fede di chi si aggira tra fornelli, verdure e alimenti da mettere nel piatto.

Lo stesso discorso vale per ristoranti, osterie, bar, caffé e tavole calde, senza escludere nessuno degli esercizi del settore ristorazione e affini. La sottile differenza di queste attività rispetto a quella temporanea della sagra è che dovrebbero sottendere un'esperienza professionale, in qualche modo, formativa. Ossia, chi si trova a svolgere un determinato lavoro per un lungo periodo di tempo e con l'intenzione di svolgerlo bene, sa che deve seguire delle regole precise e che lo sgarro da queste non conviene in nessun caso. Nè economicamente, nè in termini di immagine.

Trovi un capello su un piatto di fagioli con le cotiche cucinati alla Sagra del cotechino? Togli il capello, bevi un bicchiere di vino e continui a mangiare. Forse.
Lo trovi in un ristorante? Il giorno dopo, probabilmente, deciderai di spendere qualche euro di chiamate per informare i tuoi amici che in quel posto è meglio non andare, perchè il cuoco non sa che per la caduta dei capelli ci si deve rivolgere all'Istituto Helvetico Sanders. O comprarsi le capsuline in farmacia.

Tutto questo per dire che i sei casi di tossinfezione accertati nel castiglionese hanno puntato i riflettori - con una campagna mediatica nauseante - su un esercizio di macelleria che ad oggi risulta però scagionato dalle accuse di cattiva conservazione degli alimenti. L'esito dell'indagine epidemiologica avviata dalla Asl2 è infatti negativo e prevedo che anche le ultime analisi daranno un risultato simile. Nei giorni successivi all'uscita della notizia sul Giornale dell'Umbria (sic!!) i quotidiani locali hanno martellato l'opinione pubblica con ipotesi, buone prassi di prevenzione, cose da non fare e convenevoli da dire in queste occasioni, per poi terminare la lunga sessione mediatica con presunti casi di dissenteria ad una festa paesana. Senza, però, che i la "famigliuola" malcapitata sentisse la necessita di recarsi presso le strutture sanitarie, e senza dare alcuna indicazione sulla località dove sarebbe stato consumato il pasto (al Trasimeno, in Umbria, in Italia?). E, ancor più, i legge che i Nas avrebbero commimnato addirittura una bella multa alla struttura colpevole di aver cagionato il mal di stomaco. Ma come, mi chiedo.., una famiglia si sente male per aver mangiato non si sa che e i respondabili se la cavano con una bella multa? Mi sa tanto di bufala, ma spero che almeno questa non sia andata a male, di giornalate sui cibi avariati ne abbiamo piena la pancia.